Il 31 dicembre 2013 non ha segnato solo la fine dell’anno e l’inizio di uno nuovo, ma ha anche portato via qualcosa di apparentemente meno percettibile, ma che cambierà definitivamente il modo di vedere determinate cose. Dal 1° gennaio 2014 la pellicola cinematografica non esiste più. È morta dopo la bellezza di oltre un secolo di vita. Dopo la chiusura della Fuji, la fabbrica della Kodak è stata l’ultima a produrre pellicola cinematografica in modo industriale fino a non poco tempo fa. In Europa invece hanno già chiuso da mesi i battenti sia la sede romana che riforniva Cinecittà sia quella francese a Parigi. Unica a resistere, in maniera eroica, rimane quella a Rochester, in Illinois. A conti fatti è una vera rivoluzione, nonostante lo spettatore forse non se ne renda conto, ma per chi lavora nel mondo del cinema, le cose cambiano eccome. Se le osserviamo dal punto di vista della distribuzione ad esempio, verrà a mancare l’elemento fisico, ovvero le bobine e le “pizze” da noleggiare, perché ora verrà fatto attraverso files via satellite con dei codici antipirateria da decriptare. Per gli esercenti tutto ciò significa un risparmio sulle spese di nolo e trasporto decisamente importante. I registi si stanno già adeguando: se c’è un Ken Loach che chiede metri di pellicola per finire il suo film perché non riesce a trovarla più sul mercato, c’è anche chi al digitale è passato in tempi decisamente all’avanguardia, come ad esempio Michael Mann che per “Collateral” lo ha utilizzato con entusiasmo. Senza il digitale non ci sarebbe stato un progetto impossibile come “Arca russa” di Alexandr Sokurov, girato interamente in piano sequenza.
Ma l’Italia è pronta per questo cambiamento? Al 31 ottobre, secondo l’ultimo censimento dell’Associazione nazionale esercenti cinema (Anec), solo 2.434 schermi su 3.936 risultavano digitalizzati. Si tratta di circa il 61,8 per cento del totale. Tant’è che l’Anec è corsa ai riparti, intensificando tra l’autunno e l’inverno la riconversione con l’obiettivo di raggiungere con il nuovo anno almeno al 70 per cento e aprendo la possibilità di una proroga per evitare il rischio, decisamente concreto, che chi non riuscisse ad ammodernarsi in tempo possa chiudere. Passare da una tecnologia analogica ad una digitale costa infatti tra i 50 e i 100 milioni di euro, cifre decisamente importanti quando vanno a riferirsi a strutture piccole, che spesso funzionano in maniera “familiare” o volontaristiche, dislocate perlopiù nei piccoli centri. Un emergenza simile era stata anche a marzo, specificatamente per la Sardegna, dove si riscontrava ancora una situazione d’emergenza con più della metà dei cinema non coperti dal digitale.
Ma non solo, per abbattere i costi esercenti e distributori si sono accordati sulla “Virtual print free” e su un registro di impianti digitali. In pratica, ad ogni copia in HD richiesta dall’esercente, il distributore darà un contributo all’esercente che servirà ad ammortizzare i costi dell’investimento fatto per convertire la propria sala in digitale. Quello che si vuole creare è un sistema virtuoso in cui ognuno aiuta l’altro, in previsione di un futuro risparmio anche per i distributori una volta che la tecnologia del digitale sarà al 100 per cento in tutta Italia. Le stime parlano infatti di un abbattimento dei costi dell’85 per cento rispetto a quando c’era la pellicola. Se si duplicano in digitale da una a nove copie il costo è di 300 euro l’una, mentre ogni singola copia in pellicola ne costa 2 mila. Inoltre più aumenta il numero di copie, più diminuisce il costo per ognuna, ma, anche quando si superano le 300 copie, una in digitale continuerà a costare solo 150, la pellicola più di 730 euro.
Fonte: SassariNotizie e Repubblica.it