Case vendute ed affittate a condizioni ridicole ad amici ed amici degli amici. Stipendi da capogiro. Bilanci truccati. Privilegi ed una convinzione di onnipotenza tanto radicata da consentire ai compagni di merenda di ignorare per quasi un ventennio una sentenza del Consiglio di Stato e di continuare ad agire fuori legge mentre i controllori – tanti – preferiscono fingere di non vedere per convenienza o quieto vivere. Patti di ferro ed inossidabili sodalizi con sindacalisti che divengono poi manager o consulenti strapagati.
Ci sono davvero tutti gli ingredienti dell’ennesimo scandalo italiano nella vicenda che, nel silenzio della più parte dei media, minaccia di travolgere e trascinare nella polvere Siae, la gloriosa Società italiana autori ed editori costituita nel lontano 1882. C’è, evidentemente, un abisso etico, morale e culturale tra gli uomini che sedevano nel primo Consiglio Direttivo dell’Ente come Giuseppe Verdi e Giosué Carducci ed i tanti che hanno occupato le medesime poltrone negli ultimi anni.
Sono sconcertanti e lasciano senza parole le dichiarazioni rese dal Direttore Generale, Gaetano Blandini e dai due sub-commissari straordinari Mario Stella Richter e Domenico Luca Scordino dinanzi alla Commissione Cultura della Camera dei deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva che quest’ultima ha avviato ed alla quale sembra ormai inevitabile – data la gravità degli elementi che stanno emergendo – si affianchi, presto, l’attività di una commissione d’inchiesta.
La nave minaccia di affondare e la parola d’ordine per chiunque sia coinvolto nella gestione della Società è cercare di salvare sé stesso anche a costo di inguaiare ex amici e compagni di merende.
“Di fatto, per vent’anni la Siae non ha dato esecuzione ad una Sentenza del Consiglio di Stato”. A dirlo è Gaetano Blandini, Direttore Generale della Siae, a proposito del c.d. Fondo di solidarietà. Una brutta storia che val la pena di ricordare.
Ecco come la racconta proprio il Direttore Generale della Siae in un’intervista a Rockol.it: “Il 7 giugno del 1949 lo statuto Siae istituisce una ‘Cassa di previdenza dei soci Siae’ che resta in vigore fino al 1978, quando – nel clima di una normativa che sul fronte della previdenza si fa più stringente – i soci, con fantasia, ne modificano il nome ma non la sostanza: nasce il Fondo di solidarietà tra i soci…. Va ricordato che all’epoca sussisteva ancora la distinzione tra soci ordinari e iscritti: i primi governavano la società, i secondi erano come figli di un dio minore esclusi dall’elettorato attivo e passivo. Poi, nel 1992, arriva l’equivalente di ciò che la sentenza Bosman è stata per il mondo del calcio. Un iscritto Siae, l’avvocato Renato Recca, fa ricorso al Consiglio di Stato e lo vince. La massima autorità di giustizia amministrativa del Paese ritiene illegittime le norme dello statuto che discriminano tra soci e iscritti, consentendo solo ai primi di beneficiare del sistema previdenziale. Eppure non succede nulla, la Siae si disinteressa di questa decisione e Recca è costretto a fare un altro ricorso al CdS ottenendo, tre anni dopo, un decreto di ottemperanza. Che fa a quel punto la società degli autori? Fa entrare Recca nel suo ‘maso chiuso’, quella che voi giornalisti chiamate la casta, ma continua a tenere sbarrato il recinto a tutti gli altri finché non si giunga allo studio e all’approvazione di un nuovo regolamento. Di fatto, per vent’anni, la Siae disapplica una sentenza del Consiglio di Stato.”.
Lucida follia la definirebbe qualcuno: un ente pubblico economico sotto la diretta vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del Presidente del Consiglio dei Ministri che per decenni svolge un’attività previdenziale vietata per di più discriminando tra i propri iscritti e non si ferma neppure quando ad ordinarglielo sono i Giudici del Consiglio di Stato.
Si arriva così ai giorni nostri quando la gestione commissariale ed il direttore generale decidono, dall’oggi al domani, di sospendere ogni prestazione previdenziale in favore degli autori e di congelare gli oltre 80 milioni di euro del c.d. fondo di solidarietà. Le ragioni – quelle vere e quelle assunte ad alibi – le spiega lo stesso Blandini con un candore che, tuttavia, non vale a rendere la vicenda meno grave ed inquietante.
“Una legge, dal 2005, punisce l’esercizio abusivo di prestazioni previdenziali con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e una multa da 5.200 a 25 mila euro. Se non ottemperassi a questa legge –dice Blandini – in altre parole, andrei in galera”.
E’ un’autodenuncia? [n.d.r. Blandini siede ai vertici della Siae sin dal 2009] Una denuncia nei confronti di quanti, nell’ultimo ventennio, hanno guidato la Società lasciando che agisse quale ente previdenziale? “Se non ottemperassi a quella legge…andrei in galera” dice il Direttore Generale. Ma allora chi non vi ha ottemperato sin qui, oggi, dovrebbe andare in galera?
Ma non basta.
Blandini, nel tentativo di difendersi dinanzi alle giuste – almeno sotto un profilo sostanziale – recriminazioni di quanti si sono visti privare, dalla sera alla mattina, di un importante contributo previdenziale, dice che “un comitato di studio composto dagli stessi autori ha lavorato per cinque anni alla ricerca di una soluzione alternativa senza approdare a nulla, e che è costato alla Siae oltre 600 mila euro”.
Siae ha, dunque, speso 600 mila euro dragati dall’industria culturale – ovvero quella stessa che lamenta continuamente perdite da capogiro per colpa di Internet e del digitale – nel tentativo di individuare una soluzione che le consentisse di eludere il divieto di esercizio di attività previdenziali.
Da non crederci.
E’ stato, dunque, un pentimento operoso quello che ha indotto Gaetano Blandini ed i commissari straordinari a porre fine, dopo un ventennio, ad una situazione di palese illegittimità?
Neppure a pensarci.
La vera ragione per la quale, oggi, le attività previdenziali del fondo di solidarietà sono state sospese è che nessuno aveva voglia – e soldi – di svolgerle in favore di tutti gli iscritti così come richiesto dalla Sentenza del Consiglio di Stato.
Anche questo lo spiega candidamente Blandini: “se si fosse aperto il cancello a quegli 8 mila che forse [n.d.r. in realtà il consiglio di Stato, 20 anni fa, non ha usato né “forse”, né “ma” ed ha semplicemente detto che tutti gli iscritti Siae devono essere trattati allo stesso modo] avrebbero avuto diritto di entrare [n.d.r. nel novero dei beneficiari dei contributi previdenziali erogati dal Fondo di solidarietà], la Siae oggi sarebbe già come la Grecia, sull’orlo dell’insolvenza, e nell’arco di tre anni andrebbe in dissesto finanziario”.
Viene il dubbio che non si sia capito bene.
Il direttore generale sta dicendo che, dopo venti anni, si è sospesa un’attività sin qui svolta illegalmente perché il tesoretto accumulato di oltre 80 milioni di euro non sarebbe stato sufficiente a proseguirla in maniera non discriminatoria?
Ma andiamo avanti perché l’ascolto della registrazione dell’audizione dinanzi alla Commissione Cultura rivela particolari ancor più inquietanti. Lo stipendio del Direttore generale Gaetano Blandini, ad esempio.
470 mila di euro all’anno più 100 mila euro all’anno a titolo di premio di risultato [n.d.r. regolarmente percepito nel 2010, nonostante il bilancio della Siae sia stato fortemente deficitario] cui vanno ad aggiungersi 70 mila euro – sempre all’anno – quale responsabile della sicurezza. Il tutto per quattro anni con la garanzia, qualora alla scadenza del contratto lo stesso non fosse rinnovato, di un indennizzo da 2 milioni di euro.
Non c’è male per un ente pubblico economico in evidente stato di crisi e che – lo dice lo stesso Blandini – farebbe la fine della Grecia se solo rispettasse la legge e le Sentenze.
L’Onorevole Barbieri glielo chiede e lui non smentisce.
Non sono meno gravi le rivelazioni relative alle vicende del fondo pensioni Siae [n.d.r. quello per i dipendenti].
Il sub-commissario Scordino, al proposito, è costretto ad ammettere che il Fondo ed il suo patrimonio immobiliare hanno formato oggetto di mala-gestio da parte dei suoi precedenti amministratori, che il bilancio, almeno fino al 2009, non ha mai rappresentato in maniera puntuale e veritiera la situazione e che case ed appartamenti sono stati svenduti ed affittati in un contesto clientelare ed al di fuori di qualsivoglia regola. Ma egualmente sconvolgente è un’altra affermazione di Scordino secondo il quale i Commissari non avrebbero ancora ricevuto dalla Presidenza del Consiglio il decreto contenente l’importo che verrà loro riconosciuto.
Difficile, tuttavia, pensare che in un anno nessuno abbia mai loro chiarito quanto avrebbero guadagnato.
Fermiamoci qui ma la registrazione delle oltre due ore di audizione è un documento che offre uno spaccato della Siae senza precedenti e conferma i peggiori sospetti sull’impossibilità di continuare a lasciare affidati – per di più in regime di monopolio – gli interessi del mondo e dell’industria culturali ad un ente i cui amministratori, negli ultimi decenni, sono stati autori di condotte eticamente riprovevoli e delle quali saranno, ora, i Giudici a valutare la liceità giuridica.
Fonte: ilfattoquotidiano.it